La Costrizione o Induzione al Matrimonio
16 Nov, 2024 Aree di Competenza Art. 558-bis c.p., Codice Rosso, Costrizione al matrimonio, Denuncia matrimonio forzato, Diritti Umani, Induzione al matrimonio, Legge contro la violenza, Matrimonio forzato, Minori e matrimoni forzati, Prevenzione matrimoni forzati, Tutela delle vittime, Violenza Di Genere, Violenza psicologicaIl reato di costrizione o induzione al matrimonio è stato introdotto in Italia con la Legge n. 69 del 19 luglio 2019, conosciuta come “Codice Rosso“, per diverse ragioni fondamentali:
- Contrastare un fenomeno sommerso: Nonostante l’Italia sia un Paese che tutela le libertà personali e i diritti individuali, il fenomeno dei matrimoni forzati esiste ed è spesso nascosto. Questo accade soprattutto in contesti familiari e comunitari chiusi, dove possono prevalere tradizioni culturali o religiose che subordinano la volontà individuale a quella del gruppo.
- Tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali: L’imposizione di un matrimonio viola diritti fondamentali come la libertà personale, l’autodeterminazione e l’integrità fisica e psicologica della persona. L’introduzione di questo reato mira a rafforzare la protezione di tali diritti, in linea con i principi costituzionali.
- Aderenza a convenzioni internazionali: L’Italia è firmataria di diverse convenzioni internazionali che obbligano gli Stati membri a prevenire e combattere la violenza di genere e le pratiche tradizionali dannose. In particolare, la Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica), ratificata dall’Italia nel 2013, prevede espressamente l’obbligo di criminalizzare i matrimoni forzati.
- Colmare un vuoto normativo: Prima dell’introduzione dell’art. 558-bis c.p., il codice penale italiano non prevedeva una fattispecie specifica per punire la costrizione o l’induzione al matrimonio. Ciò rendeva difficile perseguire efficacemente tali condotte, che venivano eventualmente inquadrate in altri reati meno specifici, come la violenza privata o le minacce.
- Protezione dei minori e delle persone vulnerabili: Il fenomeno dei matrimoni forzati colpisce spesso minori e giovani donne, che possono essere costrette a sposarsi contro la loro volontà per motivi economici, sociali o culturali. L’introduzione del reato permette di attivare misure di protezione specifiche per queste categorie vulnerabili.
- Rafforzare la risposta penale alla violenza di genere: Il “Codice Rosso” nel suo complesso mira a potenziare gli strumenti giuridici per contrastare la violenza domestica e di genere, accelerando le procedure e inasprendo le pene. L’inserimento del reato di costrizione o induzione al matrimonio si inserisce in questa strategia più ampia.
- Sensibilizzazione e prevenzione: La previsione di una specifica fattispecie di reato ha anche una funzione preventiva e simbolica, evidenziando che tali condotte non sono tollerate dalla società e dallo Stato. Serve a sensibilizzare l’opinione pubblica e a incoraggiare le vittime a denunciare.
Inquadramento normativo: Codice Rosso e reati collegati
Il “Codice Rosso” si propone di rafforzare la tutela delle vittime di violenza attraverso l’introduzione di misure preventive e repressive più incisive.
L’art. 558-bis c.p., introdotto proprio con questa legge, disciplina il reato di costrizione o induzione al matrimonio.
Tale articolo stabilisce che chiunque, con violenza o minaccia, costringa un’altra persona a contrarre matrimonio o unione civile è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Se la vittima è un minore, la pena è aumentata.
Questa previsione normativa costituisce una novità importante poiché, prima dell’introduzione del Codice Rosso, il codice penale italiano non prevedeva esplicitamente una tutela in questo ambito.
Requisiti del reato: violenza o minaccia come strumenti coercitivi
Perché il reato di costrizione o induzione al matrimonio si configuri, è necessario che l’agente ricorra a violenza o minaccia per forzare o persuadere la vittima a contrarre matrimonio o un’unione civile contro la propria volontà.
La normativa italiana, con l’art. 558-bis c.p., ha individuato in questi due elementi – violenza e minaccia – le modalità principali attraverso cui si realizza la costrizione, qualificando tali mezzi come strumenti tipici della coercizione in questo contesto.
Questi requisiti garantiscono che il reato sia configurabile solo in presenza di comportamenti che ledano concretamente la libertà personale, escludendo quindi situazioni di semplice pressione morale o influenza, qualora non vi sia una componente coercitiva sostanziale.
La violenza fisica e psicologica come strumento di costrizione
La violenza rappresenta una delle forme di coercizione più dirette e manifeste. Nel contesto della costrizione al matrimonio, può assumere diverse forme, quali:
- Violenza fisica: include qualsiasi azione volta a costringere fisicamente la vittima a partecipare al matrimonio, come segregazione, percosse o impedimento a lasciare l’ambiente familiare. Questo tipo di violenza priva la vittima della libertà di movimento e, in alcuni casi, della possibilità di comunicare con l’esterno per chiedere aiuto.
- Violenza psicologica: si manifesta in atti di abuso emotivo o manipolazione che mirano a minare la resistenza della vittima e a farla sentire senza via d’uscita. Ad esempio, la vittima potrebbe essere fatta sentire responsabile della “vergogna” della famiglia o minacciata di ripercussioni sociali qualora non accettasse il matrimonio. In questi casi, la violenza psicologica può essere altrettanto devastante e coercitiva quanto la violenza fisica, poiché erode l’autostima e la capacità della vittima di opporsi.
La violenza psicologica, in particolare, è una forma di coercizione spesso sottovalutata ma estremamente efficace, perché esercita un controllo invisibile che limita la libertà decisionale della vittima senza necessitare di un contatto fisico. In contesti culturali in cui il matrimonio è ritenuto fondamentale per l’onore familiare, la pressione psicologica può raggiungere livelli tali da distruggere qualsiasi resistenza, portando la vittima a considerare il matrimonio forzato come l’unica opzione per evitare conseguenze percepite come peggiori.
La minaccia come forma di intimidazione e controllo
La minaccia è un altro strumento essenziale che configura il reato di costrizione al matrimonio, e può consistere sia in un’aggressione verbale sia in comportamenti intimidatori indiretti.
Nel contesto della costrizione al matrimonio, le minacce possono riguardare:
- Minacce esplicite di violenza fisica contro la vittima o contro persone a lei care. Ad esempio, l’agente potrebbe minacciare di picchiare la vittima o di fare del male ai suoi familiari se non acconsente al matrimonio.
- Minacce di ripercussioni economiche: in alcuni contesti, l’agente potrebbe esercitare una pressione economica sulla vittima, minacciando di diseredarla o di escluderla dal sostentamento familiare.
- Minacce sociali o di ostracismo: queste minacce sono tipiche di contesti culturali chiusi, dove la vittima può essere intimidita dall’idea di una condanna morale o di un isolamento completo qualora rifiuti il matrimonio. In contesti familiari o comunitari rigidi, l’emarginazione sociale rappresenta una punizione severa che la vittima potrebbe non sentirsi in grado di sopportare.
La minaccia, quindi, può essere articolata in modi diversi e avere un effetto devastante sulla vittima, poiché implica la prospettiva di un danno imminente e serio alla propria sicurezza, al proprio benessere o alla propria posizione sociale e familiare.
Questo tipo di coercizione spesso non lascia segni fisici, ma costituisce una forma di pressione psicologica intensa e distruttiva.
Coercizione tramite terzi e il coinvolgimento della comunità familiare
Un aspetto peculiare della costrizione al matrimonio è che la violenza o la minaccia possono essere esercitate non solo direttamente dall’agente, ma anche tramite terzi.
In molti casi, il soggetto attivo si avvale della collaborazione di parenti o di persone vicine alla vittima per fare pressione.
Questo avviene frequentemente in contesti dove i legami familiari o sociali sono molto stretti e la famiglia può influenzare la scelta della vittima attraverso una rete di controllo e di coercizione diffusa.
Il coinvolgimento di terzi aumenta il livello di pressione esercitato sulla vittima, che si trova circondata da un sistema coercitivo che le impedisce di sottrarsi al matrimonio.
In casi estremi, la vittima può essere completamente isolata, sia fisicamente che psicologicamente, privandola della possibilità di cercare aiuto esterno.
La collaborazione di più soggetti nella costrizione rende la vittima estremamente vulnerabile, poiché ogni tentativo di resistenza può essere immediatamente contrastato e soppresso dalla rete familiare.
La coercizione morale e le difficoltà di prova
Nei casi di costrizione al matrimonio, la coercizione può manifestarsi in forme sottili e meno evidenti, come la coercizione morale o la pressione emotiva.
Questi metodi, pur non rientrando sempre nell’ambito della violenza fisica o della minaccia esplicita, hanno un effetto altrettanto costrittivo e fanno leva sul senso di colpa o di responsabilità della vittima.
Ad esempio, la vittima potrebbe essere indotta a ritenere che la sua opposizione al matrimonio comporti un disonore per la famiglia o il disfacimento delle relazioni familiari, considerazioni che possono facilmente manipolare la sua volontà.
Tuttavia, queste forme di coercizione morale possono risultare difficili da provare in sede giudiziaria.
La giurisprudenza si trova spesso di fronte alla sfida di riconoscere la coercizione morale, distinguendola da influenze familiari “normali” che non costituiscono un reato.
Per configurare il reato, infatti, è necessario che la coercizione morale superi una soglia critica, tale da far percepire alla vittima l’assenza di alternative.
La capacità di distinguere tra pressione morale e vera e propria coercizione è un aspetto delicato, su cui la giurisprudenza continua a interrogarsi.
Violenza e minaccia nel contesto di pressioni culturali
In alcuni contesti culturali o religiosi, le pressioni che si concretizzano in forme di violenza o minaccia possono essere giustificate o normalizzate dalla comunità di appartenenza della vittima.
Questo rende ancora più difficile per la vittima riconoscere la propria condizione di coercizione, in quanto le pressioni vengono percepite come parte integrante di un obbligo morale o culturale.
In questi casi, la violenza e la minaccia assumono una dimensione ulteriore, perché sono accompagnate da un senso di inevitabilità e di imposizione che fa apparire il matrimonio come un “dovere” inevitabile.
Ad esempio, in alcune comunità, il matrimonio imposto rappresenta una condizione sociale accettata, che legittima forme di pressione o coercizione considerate “normali”.
Tale dinamica culturale costituisce una delle ragioni principali per cui il legislatore ha voluto introdurre una norma specifica, in grado di riconoscere e reprimere comportamenti che, in un contesto familiare chiuso, potrebbero essere giustificati o minimizzati.
Elemento soggettivo e dolo specifico
Perché il reato di costrizione o induzione al matrimonio si configuri, è essenziale la presenza di un elemento soggettivo preciso, caratterizzato da un dolo specifico.
In diritto penale, il dolo specifico rappresenta un’intenzione particolare che orienta l’azione del soggetto attivo (autore del reato) verso un fine specifico, rendendolo un requisito fondamentale per configurare la fattispecie penale in questione.
L’art. 558-bis c.p., infatti, si distingue da altri reati di costrizione, come la violenza privata (art. 610 c.p.) o le minacce (art. 612 c.p.), proprio per la particolarità della finalità che l’agente persegue: costringere la vittima a contrarre un vincolo matrimoniale o un’unione civile.
In questa prospettiva, l’intenzione del soggetto attivo non è indifferente né generica, bensì indirizzata in modo mirato a influenzare la libertà decisionale della vittima rispetto a un atto di particolare importanza giuridica e sociale, come il matrimonio.
Il dolo specifico: obbligare a contrarre matrimonio
Il dolo specifico richiesto per questo reato implica che l’agente agisca con la finalità ben precisa di costringere o indurre la vittima al matrimonio o all’unione civile.
Non è sufficiente, quindi, che la condotta dell’agente consista in una generica violenza o minaccia; è necessario che tale condotta sia finalizzata all’obiettivo specifico di ottenere il consenso della vittima al matrimonio.
Questo orientamento intenzionale distingue il reato di costrizione al matrimonio da altri reati di coercizione che non richiedono una simile intenzione.
In altre parole, l’agente deve avere la volontà non solo di compiere atti di coercizione, ma anche di indirizzare tale coercizione verso l’imposizione di un legame matrimoniale.
Se, ad esempio, l’agente minaccia la vittima al solo scopo di intimidirla o di farle compiere un’azione diversa dal matrimonio, il reato di costrizione al matrimonio non sarebbe configurabile, in quanto mancherebbe il dolo specifico richiesto dalla norma.
Motivazioni e contesto dell’intenzione: onore, tradizioni e controllo
Le motivazioni che possono indurre l’agente a costringere una persona al matrimonio possono essere molteplici e spesso derivano da contesti culturali, familiari o sociali.
In alcune situazioni, il matrimonio è imposto per motivi di “onore” familiare, per preservare determinate tradizioni culturali o per esercitare un controllo sulla vittima.
Questi elementi possono rappresentare lo sfondo sociale o psicologico in cui si inserisce il dolo specifico.
Ad esempio, in contesti familiari dove il matrimonio è visto come un dovere sociale, l’agente potrebbe ritenere di “dover” costringere la vittima per evitare una condanna morale o per rispettare le aspettative della comunità di appartenenza.
Nonostante la comprensione delle motivazioni dell’agente possa aiutare a delineare il contesto in cui avviene il reato, tali ragioni non giustificano il reato e non attenuano la sua gravità, poiché la legge italiana non ammette la violazione della libertà personale per ragioni culturali o di consuetudine.
Dolo specifico e consenso simulato: la rilevanza della volontà della vittima
Un aspetto cruciale del dolo specifico nel reato di costrizione al matrimonio è che l’agente mira a ottenere un consenso simulato da parte della vittima.
Il consenso al matrimonio deve infatti essere libero e volontario, come stabilito dagli artt. 84 e 107 del codice civile italiano, i quali prevedono che la capacità di contrarre matrimonio e il consenso debbano basarsi su una libera scelta.
L’obiettivo dell’agente è di ottenere una dichiarazione formale di consenso, pur sapendo che questa non corrisponde alla reale volontà della vittima, la quale è costretta ad accettare il matrimonio solo per evitare la violenza o la minaccia subita.
Questo significa che, affinché si configuri il reato, la vittima deve essere posta in una condizione di sottomissione psicologica tale da simulare un consenso che, in realtà, non è genuino.
La simulazione del consenso è quindi un elemento indiretto che comprova il dolo specifico, poiché dimostra l’intenzione dell’agente di ottenere un legame formale, indipendentemente dalla reale volontà della vittima.
Il dolo specifico nei confronti dei minori e delle persone vulnerabili
Quando la vittima è un minore o una persona vulnerabile, il dolo specifico dell’agente può assumere una connotazione ancora più grave.
I minori e le persone vulnerabili, infatti, sono spesso meno in grado di opporsi o di comprendere pienamente le implicazioni di un matrimonio forzato, e l’agente, consapevole di questa condizione, sfrutta tale debolezza per raggiungere il proprio scopo.
In tali casi, il dolo specifico è aggravato dall’uso di una posizione di autorità o di influenza per esercitare una pressione ancora più forte sulla vittima.
La consapevolezza dell’agente di approfittare della condizione di debolezza della vittima rafforza la volontà di costringerla al matrimonio, rendendo il reato particolarmente riprovevole e giustificando l’aggravamento della pena previsto per i casi in cui la vittima sia un minore.
Distinzione tra dolo specifico e dolo generico
Il reato di costrizione al matrimonio richiede, come evidenziato, un dolo specifico, il che lo differenzia da altri reati di violenza o minaccia che prevedono un dolo generico.
Nel dolo generico, l’agente è consapevole di commettere un reato e accetta le conseguenze della sua azione, senza però perseguire un fine specifico.
Nel caso della costrizione al matrimonio, invece, il dolo specifico richiede che l’agente voglia ottenere il matrimonio come risultato diretto della sua azione coercitiva.
Questa distinzione è fondamentale in sede giudiziaria per stabilire se l’azione dell’agente risponde ai criteri di tipicità previsti dall’art. 558-bis c.p. e per evitare che vengano impropriamente estese le ipotesi di reato.
Ad esempio, un’aggressione finalizzata esclusivamente a intimidire la vittima, senza che vi sia la volontà di costringerla a contrarre matrimonio, non rientrerebbe in questa fattispecie, mancando il dolo specifico richiesto dalla legge.
La prova del dolo specifico: una sfida processuale
Accertare il dolo specifico in un processo è spesso complesso, poiché richiede di dimostrare che l’agente avesse la volontà precisa di costringere la vittima a un matrimonio o a un’unione civile.
La giurisprudenza ha stabilito che tale dolo può essere desunto non solo dalle parole esplicite dell’agente, ma anche dal contesto in cui si sviluppa il reato e dai comportamenti indiretti che dimostrano l’intenzione di forzare la vittima verso l’unione matrimoniale.
Ad esempio, una serie di comportamenti manipolatori, o una pressione psicologica continuativa rivolta specificamente a ottenere il matrimonio, può costituire un indizio probante del dolo specifico.
In assenza di prove dirette, il giudice può quindi basarsi su elementi indiretti e su una valutazione complessiva del comportamento dell’agente, al fine di individuare la finalità specifica richiesta dalla norma.
Analogie con altri reati di costrizione e differenze significative
Il reato di costrizione o induzione al matrimonio presenta analogie con altre fattispecie di reato che prevedono la coercizione e la limitazione della libertà personale.
Tuttavia, si distingue per alcune caratteristiche peculiari che lo rendono unico.
L’elemento comune con altri reati di coercizione è l’utilizzo della violenza o della minaccia come mezzo per limitare la libertà della vittima.
Ciò nonostante, l’obiettivo specifico di indurre un matrimonio o un’unione civile distingue questa fattispecie dalle altre, evidenziando una particolare forma di violenza psicologica e fisica.
Paralleli con il reato di violenza privata (Art. 610 c.p.)
La violenza privata consiste nel costringere una persona, mediante violenza o minaccia, a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà.
Il reato di costrizione al matrimonio è analogo a quello di violenza privata perché anche qui la vittima è costretta ad agire contro la propria volontà, ossia a contrarre matrimonio. Tuttavia, mentre la violenza privata può riguardare una varietà indefinita di comportamenti costrittivi, l’art. 558-bis c.p. ha un ambito di applicazione molto più ristretto, limitandosi all’imposizione di un matrimonio o di un’unione civile.
Inoltre, nel reato di costrizione al matrimonio, è richiesta una finalità specifica: quella di costringere la vittima a un vincolo matrimoniale, elemento che caratterizza e restringe l’ambito applicativo rispetto alla più generica violenza privata.
Differenze dal reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi (Art. 572 c.p.)
I maltrattamenti contro familiari e conviventi prevedono una serie di atti di prevaricazione, violenza fisica o psicologica reiterati nel tempo, che causano alla vittima sofferenza e limitazioni della propria libertà.
Anche in questo caso, possono verificarsi episodi di pressione o di minaccia per costringere la vittima a subire decisioni, come quella di contrarre matrimonio.
Tuttavia, il reato di costrizione al matrimonio è strutturato per punire una singola condotta coercitiva con finalità specifica.
Non richiede la reiterazione degli atti vessatori e non dipende dal contesto di convivenza o familiarità, essendo sufficiente un unico atto di costrizione o induzione.
Per questo motivo, l’art. 558-bis c.p. può applicarsi anche nei casi in cui il soggetto agente non sia parte del nucleo familiare o convivente della vittima.
Confronto con il sequestro di persona (Art. 605 c.p.)
Anche il sequestro di persona può presentare caratteristiche comuni al reato di costrizione al matrimonio, specialmente laddove la vittima viene isolata o fisicamente bloccata per impedirle di sottrarsi alla coercizione matrimoniale.
Il sequestro di persona, tuttavia, implica una privazione della libertà di movimento che va oltre la semplice minaccia o pressione psicologica.
Nell’art. 558-bis c.p., non è richiesta la privazione della libertà fisica, bensì una coercizione che si può realizzare anche attraverso pressioni esclusivamente psicologiche, purché dirette al fine specifico di indurre il matrimonio.
Inoltre, nel caso di sequestro, la restrizione è solitamente totale e ha come scopo diretto l’impedimento della libertà fisica, mentre nella costrizione al matrimonio l’obiettivo non è bloccare la vittima, ma piuttosto farle accettare un vincolo matrimoniale.
Distinzione dal reato di riduzione o mantenimento in schiavitù (Art. 600 c.p.)
Un’altra fattispecie con cui si può confrontare il reato di costrizione al matrimonio è la riduzione o il mantenimento in schiavitù o servitù.
Il reato di riduzione in schiavitù implica una privazione della libertà personale che si protrae nel tempo e che porta la vittima a una condizione di totale assoggettamento nei confronti dell’agente.
Pur potendo essere basata su dinamiche di minaccia e coercizione, questa forma di schiavitù comporta un controllo completo e duraturo della vittima, che viene trattata come una “cosa” di proprietà dell’agente.
Invece, nel reato di costrizione al matrimonio, l’assoggettamento è limitato all’imposizione del vincolo matrimoniale.
La finalità non è quella di ridurre la vittima in stato di schiavitù permanente, bensì di farle assumere un ruolo formale (coniuge o partner in unione civile) che potrebbe limitare ma non annullare la sua autonomia, per quanto minacciata.
Il ruolo della minaccia e della violenza: un confronto tra reati
In tutti questi reati, il ruolo della minaccia e della violenza è centrale.
Tuttavia, la tipologia di minaccia e l’intensità della violenza variano sensibilmente.
Nel reato di costrizione al matrimonio, la minaccia può essere più sottile e consistere anche in pressioni psicologiche o ricatti familiari, che possono essere difficili da provare.
Nei casi di violenza privata o sequestro di persona, invece, la minaccia è spesso più evidente e facilmente dimostrabile, mentre nella riduzione in schiavitù si concretizza in una completa dominanza sull’individuo.
Il profilo della vittima: minori e persone vulnerabili
Il reato di costrizione o induzione al matrimonio è stato introdotto in Italia con l’obiettivo di proteggere le categorie di individui più vulnerabili, che per diverse ragioni si trovano in condizioni di fragilità o debolezza psicologica e sociale.
Le vittime tipiche di questo reato sono spesso minori e persone vulnerabili che subiscono la pressione di familiari o del contesto sociale e culturale per entrare in un vincolo matrimoniale contro la loro volontà.
La legge mira dunque a prevenire l’abuso della loro condizione di debolezza, proteggendoli da un legame imposto che non rispecchia la loro libera scelta.
I minori come vittime di matrimoni forzati
I minori rappresentano uno dei gruppi più a rischio, poiché la loro volontà e capacità decisionale sono spesso influenzate dalla famiglia, dalla comunità e dal contesto culturale.
Nelle situazioni di matrimonio forzato, i minori non hanno spesso i mezzi per opporsi alla volontà dei genitori o della comunità, e la loro vulnerabilità è accentuata dall’incapacità di accedere autonomamente a risorse e informazioni.
In molti casi, il matrimonio forzato è percepito come una tradizione culturale, una sorta di “dovere” che il minore deve adempiere per preservare l’onore familiare o rispettare norme sociali.
Per i minori, la coercizione può assumere diverse forme, che vanno dalla pressione psicologica (ricatti emotivi, minacce di esclusione o vergogna) alla violenza fisica o all’isolamento.
Spesso, il minore è tenuto all’oscuro delle alternative o delle possibilità di difendersi legalmente, in quanto totalmente dipendente dalla famiglia e privato di una rete di supporto esterna.
In questi contesti, il reato di costrizione o induzione al matrimonio mira a fornire una tutela rafforzata, riconoscendo la maggiore vulnerabilità dei minori e stabilendo aggravanti per chiunque li costringa al matrimonio.
Persone vulnerabili e pressioni culturali o religiose
Oltre ai minori, anche le persone vulnerabili adulte possono essere oggetto di matrimoni forzati.
Questa categoria include individui che, pur avendo la capacità giuridica di intendere e di volere, si trovano in condizioni di particolare debolezza per motivi psicologici, economici o sociali.
La vulnerabilità può derivare da diverse condizioni: difficoltà economiche, isolamento sociale, dipendenza emotiva o psicologica, scarsa istruzione o disabilità.
Tali persone, nonostante la maggiore età, possono non avere la capacità o la forza di resistere alle pressioni familiari o culturali.
In alcuni casi, le pressioni si manifestano come una coercizione morale, un tipo di minaccia più sottile e difficile da dimostrare legalmente.
La vittima potrebbe essere convinta, con manipolazioni o velate minacce, che il matrimonio sia l’unica soluzione per preservare la stabilità familiare, per esempio in contesti in cui una gravidanza fuori dal matrimonio è vista come una vergogna sociale.
Oppure, in contesti religiosi, potrebbe essere forzata a sposarsi per conformarsi a interpretazioni rigide della fede che impongono il matrimonio come unica strada legittima.
Il ruolo della dipendenza economica e della pressione emotiva
Molte vittime adulte che rientrano nella categoria delle persone vulnerabili sono legate economicamente e affettivamente alla propria famiglia o al partner.
Questa dipendenza economica aumenta il rischio di subire coercizione.
In una situazione di precarietà economica, ad esempio, il matrimonio può essere percepito come una “soluzione” per garantire una stabilità, anche se forzata.
La dipendenza emotiva, invece, rende la vittima incline a subire pressioni o minacce per timore di perdere il supporto della famiglia o del partner.
In alcuni casi, le pressioni si manifestano come forme di “gaslighting“, una tecnica di manipolazione psicologica che porta la vittima a dubitare delle proprie percezioni e a considerare il matrimonio forzato come una scelta necessaria e razionale.
L’agente può far leva su questa vulnerabilità per spingere la vittima a un’unione matrimoniale indesiderata, sfruttando la sua incapacità di opporsi o di riconoscere l’abuso.
Tutela rafforzata e aggravanti per la vittima vulnerabile
La legge italiana, con l’introduzione dell’art. 558-bis c.p., prevede un’aggravante quando la vittima è un minore.
Tale aggravante è giustificata dall’evidente incapacità del minore di difendersi da solo e dalla sua maggiore suscettibilità alla manipolazione.
In questi casi, il legislatore ha voluto rafforzare la pena per chi, abusando della propria posizione di potere o di autorità, obbliga un minore a contrarre matrimonio.
Oltre ai minori, anche le persone adulte vulnerabili rientrano nell’ambito di protezione rafforzata.
Sebbene non ci sia un’aggravante specifica per le persone vulnerabili adulte, in caso di denuncia, il giudice ha la facoltà di tenere in considerazione la condizione di debolezza della vittima, valutando l’influenza che il contesto ha esercitato sulla sua capacità decisionale.
Misure di protezione e supporto alle vittime vulnerabili
Per queste categorie di vittime, le misure di protezione previste dal Codice Rosso sono particolarmente importanti.
La procedura accelerata prevede che le autorità, una volta ricevuta una segnalazione o una denuncia, intervengano prontamente per impedire che la vittima sia costretta al matrimonio.
Questo include l’obbligo per le forze dell’ordine di informare immediatamente il pubblico ministero e la possibilità di ascoltare la vittima entro pochi giorni dalla denuncia.
Nel caso dei minori, è prevista la collaborazione con i servizi sociali e le associazioni di protezione minorile, in modo da garantire che il minore non sia nuovamente soggetto a pressioni o manipolazioni da parte della famiglia.
Difficoltà di emersione e segnalazione del reato
Purtroppo, l’individuazione di questi casi è complessa, poiché spesso avviene in contesti chiusi e privati dove la denuncia è difficilmente accessibile.
Le vittime, soprattutto minori e persone vulnerabili, potrebbero non essere consapevoli dei propri diritti o della possibilità di opporsi.
Questo rende fondamentale il ruolo di enti, scuole e servizi sociali nel riconoscere i segnali di un matrimonio forzato imminente e nel fornire supporto e orientamento alle vittime.
Misure preventive e procedura d’urgenza
Il Codice Rosso ha introdotto una serie di misure urgenti e di prevenzione per rafforzare la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, riconoscendo la necessità di una risposta immediata e mirata per proteggere chi si trova in una condizione di pericolo.
L’obiettivo primario di queste misure è quello di impedire che la vittima subisca un danno irreparabile, come può avvenire con un matrimonio forzato che compromette la libertà e l’autodeterminazione della persona.
La previsione di una procedura d’urgenza e di meccanismi di tutela preventiva costituisce un importante passo avanti nella protezione delle persone vulnerabili, specialmente dei minori e delle persone socialmente o psicologicamente deboli.
La segnalazione immediata e l’attivazione della procedura d’urgenza
Uno degli aspetti fondamentali del “Codice Rosso” è l’obbligo per le forze dell’ordine di segnalare tempestivamente il reato di costrizione o induzione al matrimonio al pubblico ministero (PM).
Questo obbligo di segnalazione immediata è stato introdotto per evitare che il ritardo nelle indagini o nelle procedure giudiziarie permetta al soggetto attivo di portare a compimento il matrimonio forzato.
Il reato, infatti, è di natura insidiosa: una volta celebrato il matrimonio, la vittima si trova spesso in una condizione di subordinazione e di isolamento che rende ancora più difficile uscire dalla situazione di abuso.
L’attivazione immediata della procedura d’urgenza impone al PM di sentire la vittima entro tre giorni dalla ricezione della segnalazione.
Questa tempistica ridotta rispetto a quella ordinaria è finalizzata a raccogliere le informazioni necessarie direttamente dalla vittima, in modo da comprendere la gravità e l’imminenza del pericolo.
Tale urgenza è motivata dalla necessità di evitare che, nel tempo intercorso, le pressioni sul soggetto possano intensificarsi o che la vittima si trovi vincolata da un’unione difficile da annullare o sciogliere.
Provvedimenti di protezione e di allontanamento dell’aggressore
Una volta ricevuta la denuncia e valutata la situazione di rischio, il giudice può disporre una serie di misure cautelari e di protezione, tra cui l’allontanamento dell’aggressore dalla casa familiare o il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima.
Queste misure cautelari mirano a proteggere la vittima da ulteriori pressioni e a interrompere immediatamente il contatto con il soggetto agente.
In particolare, il divieto di avvicinamento e l’eventuale obbligo di mantenere una distanza minima dalla vittima rappresentano strumenti preventivi essenziali per evitare che la persona costretta subisca ulteriori intimidazioni.
Questi provvedimenti vengono adottati dal giudice su richiesta del PM e sono spesso accompagnati da controlli periodici per assicurarsi che vengano rispettati.
In caso di violazione delle misure di allontanamento, sono previste pene aggravate e ulteriori sanzioni, rafforzando così la protezione della vittima.
Supporto e assistenza psicologica per la vittima
Il Codice Rosso prevede anche il coinvolgimento di servizi sociali e centri antiviolenza, i quali forniscono supporto psicologico e consulenza legale alla vittima.
Questo supporto è particolarmente rilevante nei casi di costrizione o induzione al matrimonio, in quanto la vittima, spesso isolata e sotto pressione, potrebbe non avere consapevolezza dei propri diritti o delle risorse disponibili per uscire dalla situazione di abuso.
Il ruolo dei servizi sociali è essenziale anche per favorire il reinserimento della vittima in un ambiente sicuro, allontanandola dal contesto familiare o sociale che la costringe.
Per i minori, in particolare, i servizi sociali collaborano con le autorità giudiziarie per predisporre misure di affidamento temporaneo o di inserimento in strutture protette, in modo da garantire la protezione del minore lontano dall’influenza dei familiari coercitivi.
Tutela anticipata e ruolo della formazione delle forze dell’ordine
Uno degli obiettivi del Codice Rosso è anche quello di garantire che le forze dell’ordine siano adeguatamente formate per riconoscere e gestire situazioni di costrizione o induzione al matrimonio.
La formazione specifica in tema di violenza di genere e violenza domestica consente agli operatori di polizia di individuare rapidamente i segnali di abuso e di attivare immediatamente le procedure di tutela previste.
La formazione degli operatori di giustizia è stata considerata fondamentale per il successo delle misure preventive, poiché permette di sviluppare una sensibilità che facilita il riconoscimento delle forme di coercizione psicologica spesso presenti nei casi di costrizione al matrimonio.
L’intervento tempestivo e accurato delle forze dell’ordine è quindi un elemento cruciale per impedire il verificarsi del reato e per assicurare alla vittima il supporto necessario.
Procedure di ascolto protetto della vittima
Il Codice Rosso ha introdotto anche la possibilità di utilizzare modalità protette per l’audizione della vittima, soprattutto nei casi in cui si tratti di minori o di persone vulnerabili.
L’ascolto protetto, che può svolgersi con l’ausilio di psicologi o mediatori, mira a ridurre il trauma della vittima e a garantire che possa esprimersi in un contesto sicuro, privo di pressioni esterne.
Questa misura risulta particolarmente importante nei casi di matrimonio forzato, dove la vittima potrebbe sentirsi in difficoltà a denunciare familiari o persone vicine che la sottopongono a coercizione.
L’ascolto protetto facilita la raccolta di testimonianze accurate e consente agli operatori di valutare con maggiore precisione la situazione di pericolo, intervenendo in modo mirato.
Ruolo della denuncia e le difficoltà di emersione del reato
Sebbene la procedura d’urgenza offra strumenti efficaci per proteggere la vittima, l’emersione del reato di costrizione o induzione al matrimonio rimane una sfida, soprattutto in contesti chiusi dove prevalgono norme culturali rigide o rapporti familiari di dipendenza.
Spesso, infatti, le vittime faticano a denunciare i propri familiari per timore di ripercussioni o di isolamento sociale.
Per questo motivo, il Codice Rosso incoraggia anche il coinvolgimento di figure professionali, come insegnanti, assistenti sociali e operatori sanitari, che possono intercettare i primi segnali di un matrimonio forzato e segnalare le situazioni di rischio.